Nell’ambito dell’iniziativa #WIDG – La tv che vorrei, abbiamo intervistato Fabio Pastrello (tra gli autori del Grande Fratello) per scoprire il suo punto di vista sul binomio reality – tv di qualità.
C’è una ricetta per coniugare il reality alla qualità? O il formato la esclude a prescindere?
Dipende quale significato si vuole dare alla parola qualità. Se qualità deve essere per forza sinonimo di cultura (o kultura) allora no. Io credo che la tv non debba avere per forza un fine pedagogico, non in tutti i suoi programmi almeno. E’ vero che i principi di Jhon Reith, il primo direttore della mitica BBC, erano educare, informare ed intrattenere… ma era la paleotv. Oggi la tv deve anche provocare emozioni… tutte le emozioni: rabbia, dolore, gioia, ilarità… Michele Sorice, in un suo testo molto interessante, la definisce uno specchio magico: il sogno dello spettatore contemporaneo è quello di vedersi mentre altri lo guardano in tv. ‘Vedersi guardato’ come in una sorta di gioco di specchi. Se per qualità si intende un programma ben realizzato che assolve al suo compito senza cercare scorciatoie non esiste nessun format che escluda la qualità.

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